Aron Natanson


Aron Natanson, mio nonno, è nato in Romania il 1° febbraio 1886, a Ploiesti, piccola città industriale situata a nord di Bucarest.
Aveva compiuto gli studi universitari a Berlino e conseguito un dottorato in filosofia, redigendo una tesi su Spinoza. Compilò in seguito un "dizionario filosofico" ma entrambi i testi, manoscritti inediti, sparirono durante il saccheggio dell'appartamento parigino, al momento del suo arresto.


Aron Natanson, da ragazzo Aron Natanson, da ragazzo

Nel 1922, sposò, a Bucarest, Fanny Neidmann.

Aron Natanson fotografato accanto a sua moglie
Aron Natanson e sua moglie, Fanny Neidmann (mia nonna), a Parigi, alla fine degli anni Venti.

Lasciò la Romania nel 1923, accompagnato da suo fratello, e si trasferì in Francia. Il clima antisemita imperante in Romania ebbe un ruolo importante in questa decisione. I Natanson avevano già legami in Francia poiché il fratello di Aron, Albert Natanson, era il corrispondente di Hachette in Romania.


Aron Natanson, verso il 1925 Aron Natanson, verso il 1925

Divenne libraio a Parigi, al numero 19 di rue Gay-Lussac, nel quartiere latino. Vendeva libri rari e edizioni universitarie, a volte su ordinazione. Era uno specialista di libri di filosofia e in particolare di religioni comparate, come testimonia J. Filliozat, membro dell'Institut de France e professore al Collège de France:

Intestazione di una lettera: Collège de France, Cattedra di Lingue e letteratura dell'India, Parigi, 29 aprile 1967
Il sottoscritto certifica di aver conosciuto Aron NATANSON durante gli anni che precedettero la guerra. Aron NATANSON aveva, all'epoca, una libreria d'erudizione in rue Gay Lussac a Parigi. Da giovane orientalista frequentavo quella libreria soprattutto per la personalità del Signor NATANSON poiché era lui stesso un erudito, avendo conseguito un dottorato in filosofia a Berlino su Spinoza, e con lui la conversazione era molto istruttiva. Spesso anche professori e ricercatori frequentavano la sua libreria non solo per i libri, ma per le discussioni su di essi. La sua conoscenza in materia di storia delle religioni era molto estesa e mi fu personalmente molto utile, benché io sia indianista e lui fosse ebraista e filosofo. In particolare, ricordo di aver assistito con interesse alle sue conversazioni con Paul VULLIAUD, un ebraista che aveva tradotto e pubblicato, utilizzando spesso i suoi consigli, l'inizio dello Zohar. Il valore di queste conversazioni, dal mio punto di vista, derivavano non tanto dall'interpretazione testuale dell'ebraico, alla quale non potevo partecipare, quanto dalle discussioni di filosofia comparata e di storia delle religioni che scaturivano da tale interpretazione.
Firma della lettera e timbro del Collège de France: J. Filliozat, Membro dell'Institut, Professore al Collège de France

La testimonianza di Paul Hartmann conferma la natura della libreria:

Nel 1934-35, abitavo a Parigi, presso i Padri Maristi e seguivo dei corsi all'Istituto Cattolico situato nella stessa via. Mio padre, notaio a Le Havre, dove sono nato il 19 dicembre 1913, mi passava ogni mese 1.000 franchi. Questo denaro mi serviva soprattutto per comprare dei libri. Uno dei principali librai dai quali acquistavo era Aron Natanson.
Il suo negozio, situato in rue Gay Lussac, era grande e ben fornito. Due ampie vetrate incorniciavano la porta d'ingresso, anch'essa in vetro. L'interno era costituito da una grande stanza e da una più piccola che serviva da retrobottega. La clientela era formata soprattutto da professori, studenti, bibliofili. I clienti, in generale, consegnavano una lista di libri nuovi o d'occasione che desideravano procurarsi. Il libraio faceva cercare i libri ordinati da fattorini specializzati che li portavano in giornata. Concedeva sconti importanti, dal 10 al 30%, da qui il suo successo che era grande e meritato. Era uno dei migliori librai del Quartiere Latino.
Il Signor Natanson era di altezza media, molto gentile e sempre di buon umore. Mi piaceva parlare con lui.

Paul Hartmann, Souvenirs sur Aron et Mireille Natanson,
dattiloscritto inedito, 1982.
Estremamente erudito in materia di religione e conoscitore dell'ebraico, Aron Natanson non era però praticante. Non era ateo, ma qualcosa come sincretico. Non ostacolò in alcun modo l'ingresso di suo figlio Jacques negli scout cattolici, verso il 1935.

La famiglia abitava al numero 9 di rue des Feuillantines (2), a due passi dalla libreria (1) e Aron mandava suo figlio al Liceo Montaigne (3).

Carta del Quartiere Latino

Fanny Neidmann, sua moglie, poiché malata, dovette lasciare la Francia. Ritornò in Romania, dalla sua famiglia. Lì morì nel 1939 di tubercolosi.
Nel giugno 1940, Aron Natanson invitò suo figlio Jacques (mio padre), a lasciare Parigi per rifugiarsi prima a Brive, poi a Tolosa. Miryam, invece, rientrerà a Parigi. Durante l'anno scolastico si nasconderà in convitti cattolici, in provincia.

I fratelli di Aron, Albert e Julien Natanson, si erano rifugiati a Grenoble, zona d'occupazione italiana, Albert incitava Aron a raggiungerlo.
Albert Natanson nel 1969 Albert Natanson, nel 1969

Aron diceva che lo avrebbe fatto, ma non si decideva a lasciare i suoi libri. Essi ingombravano l'appartamento di rue des Feuillantines, a due passi dalla sua ex-libreria. Aron non aveva più il diritto di tenere una libreria, ma continuava a servire, da casa sua, i clienti più fedeli, da una piccola stanza situata al piano terra.

Aron Natanson, nella sua libreria, prima della guerra
Aron Natanson nella sua libreria, prima della guerra

Aron Natanson venne arrestato dalla polizia francese il 23 settembre 1942, insieme a 1594 Ebrei rumeni della regione parigina. Gli Ebrei rumeni erano sfuggiti alla retata del Vél'd'hiv' (16-17 luglio 1942) perché provenivano da un paese alleato della Germania nazista. Ma il 24 settembre 1942 la Romania si dichiarò disinteressata alla sorte degli Ebrei rumeni esiliati e ritirò loro la cittadinanza rumena. Divenuti apolidi, potereno essere deportati facilmente. Fu la terza sezione dell'ufficio politico della Questura ad effettuare questo arresto. (Fonte: Archives de la Préfecture de Police).
Aron Natanson fu arrestato insieme a sua figlia, Miryam, di 13 anni.

Ho ritrovato la testimonianza di un sopravvissuto a questa deportazione di Ebrei rumeni, Herman Idelovici, che fu arrestato il giorno seguente. La sua testimonianza ci può aiutare a capire come procedette la polizia nel cosrso di questa retata:

« Il 24 settembre [1942], bussarono alla porta dell'appartamento nel quale vivevo con mio padre, mia madre e le mie sorelle e si presentarono due agenti di polizia, la polizia francese, ahimé. Mio padre aprì e i due agenti presentarono delle schede personali. Quattro schede, con i nomi di mio padre, di mia madre, di mia sorella maggiore e il mio. Per mia sorella minore, nata in Francia, i poliziotti non avevano la scheda. Mio padre fece notare loro che la scheda di mia sorella non c'era, intendendo con ciò: lei è francese, la cosa non la riguarda. Gli agenti, dopo un brevissimo spazio di riflessione risposero: "Sì, ma è qui, la portiamo con voi, vedrete più in là". Dissero anche: "Ve la sbroglierete più in là", come se ci fosse stato ancora qualcosa da sbrogliare...»
Herman Idelovici, Trascrizione integrale della sua testimonianza, Autunno 42, CRDP di Nizza

La testimonianza di Paul Hartmann conferma che fu la polizia francese ad effettuare l'arresto.
Alcuni testimoni hanno raccontato che l'appartamento (rue des Feuillantines 9), dopo l'arresto, era sottosopra. Gli agenti avevano persino tirato dei colpi d'arma da fuoco sugli specchi, come se non avessero potuto sopportare l'immagine di loro stessi mentre effettuavano l'arresto di un tranquillo libraio e di una bambina.

Se la polizia francese seguì gli stessi procedimenti utilizzati per il nostro testimone, Aron e sua figlia furono probabilmente condotti al commissariato di polizia del loro quartiere:

«Dopo essere usciti dal nostro immobile, ricordo che abbiamo risalito a piedi, affiancati da due agenti di polizia, il boulevard de la Gare, in direzione di place d'Italie, siamo passati davanti alla panetteria, la panettiera era sulla soglia del negozio, ci guardava e i nostri sguardi si sono incrociati. Non so cosa abbia potuto pensare quella donna, cosa abbiano potuto pensare altre persone. Abbiamo superato la rue Nationale, siamo giunti al commissariato di polizia del passage Ricaut...»
Herman Idelovici, Trascrizione integrale della sua testimonianza, Autunno 42, CRDP di Nizza

Dal commissariato, le famiglie arrestate furono condotte a Drancy con corriere della RATP:

«Quindi, dopo molte difficoltà, con i famosi autobus di sinistra memoria, che venivano chiamati TN 4, con delle piattaforme esterne, ci portarono al campo di Drancy che diventava il grande campo di raggruppamento in vista delle deportazioni verso l'Est. In questo campo di Drancy, arrivammo verso le 12.30/13, iniziarono con lo spogliarci di tutto ciò che avevamo con noi, le fedi nuziali, gli anelli, gli orologi, gli spiccioli che avevamo in tasca. Furono del resto [...] dei Francesi a svuotarci completamente, a spogliarci e poi a farci salire su un block.»
Herman Idelovici, Trascrizione integrale della sua testimonianza, Autunno 42, CRDP di Nizza

Aron fu quindi perquisito all'ingresso del campo e privato del suo denaro come di qualsiasi oggetto di valore.

Aron e sua figlia rimasero due giorni nel campo di Drancy dal quale furono deportati con il convoglio n°37, il 25 settembre 1942. Tale convoglio era prevalentemente composto da Ebrei rumeni (779 su 1004 deportati).
Il nostro testimone, uno dei pochissimi sopravvissuti di quel convoglio, ha raccontato il raggruppamento e la partenza del treno. Lo racconta con i suoi occhi di quindicenne:

«L'indomani [25 settembre 1942], alle cinque del mattino, ci fu un appello nel cortile centrale e il convoglio venne preparato per essere portato alla stazione di Le Bourget-Drancy, che serviva da stazione di imbarco verso l'Est. In quei vagoni merci divenuti in seguito famosi, dei quali sono state mostrate numerose immagini, vagoni merci che erano adatti, credo, per quattordici cavalli, se non sbaglio, vennero stipati sessanta uomini, sessanta persone fra uomini, donne, bambini, vecchi, malati, lattanti... c'erano dei lattanti nel mio vagone. Ci hanno fatto salire, le porte sono state chiuse con il lucchetto, l'aria non entrava che da piccole vasistas poste in alto, erano le aperture per i cavalli, ovviamente. C'era una vasca vuota, tipo un barile, per i bisogni, e ci è stato dato, ad ognuno, un pezzo di pane, un pezzo di salame e un po' di margarina. Devo dire che l'atmosfera che regnava in quel vagone, che ha cominciato a regnarvi a partire dal 25 mattina - il treno è partito dalla stazione di Le Bourget-Drancy alle 8.55, ricordo anche l'ora - l'atmosfera che ha regnato fino all 28, a mezzogiorno, è qualcosa di estramemente difficile da descrivere... le grida, grida delle donne, dei malati e dei bambini... la sete, alla fine di settembre faceva ancora relativamente caldo, la sete... l'ignoranza, l'inquietudine... evidentemente nessuno immaginava dove stessimo andando, nessuno immaginava nemmeno ciò che avremmo fatto così come ciò che avrebbero fatto di noi. Di tanto in tanto, mi ricordo, la notte soprattutto, non so perché, la metà delle persone non dormiva, mi sono alzato in punta di piedi e sono riuscito a leggere attraverso le vasistas, di notte, alcuni nomi delle stazioni che stavamo attraversando. Ho visto, fra gli altri, Strassburg, il nuovo nome di Strasbourg, ho visto Fulda, ho visto Erfurt, ho visto Weimar.. »
Herman Idelovici, Trascrizione integrale della sua testimonianza, Autunno 42, CRDP di Nizza
Il convoglio impiegò due giorni per raggiungere Auschwitz.
Il 27 settembre 1942, a Kosel, poco prima di arrivare ad Auschwitz , venenro selezionati 175 uomini da destinare al lavoro. Poi, all'arrivo a Birkenau, altri 40 uomini ricevettero i numeri dal 66030 al 66069. Ho creduto a lungo che a causa della sua età (56 anni), Aron Natanson non fu destinato al lavoro e fece parte, insieme a sua figlia Miryam, delle 873 persone condotte alla camera a gas, all'arrivo.
Ma nel novembre 1999, la comunicazione di uno storico tedesco, Erwin Denzler, che aveva fatto una ricerca su un altro deportato dello stesso convoglio e che aveva letto la versione inglese di queste pagine, mi ha condotto verso nuovi documenti, conservati negli Archivi del Museo di Auschwitz. In realtà, Aron Natanson era stato selezionato per il lavoro e quindi condotto al campo di Auschwitz I dove morì quindici giorni dopo.

Sono riuscito a completare, all'inizio del 2001, questo itinerario, grazie alla testimonianza sopracitata:

«E poi, il 28 a fine mattinata, arrivammo in Alta Slesia, in quella stazione chiamata Kosel. E quando i vagoni si fermarono sferragliando (nel momento della frenata sbattevano fra loro), le SS iniziarono ad urlare sulla banchina... curiosamente, le prime frasi che ho sentito in tedesco, erano delle urla, degli strilli. I vagoni iniziarono ad essere aperti con fracasso, per essere ispezionati, per vedere se vi erano dei morti, se vi erano ancora dei vivi. Molte persone erano morte, altre erano impazzite.

Dopo quella prima visita, le SS iniziarono ad urlare, davanti ad ogni vagone - in tedesco ovviamente - affinché tutti gli uomini dai 18 ai 55 anni scendessero immediatamente sulla banchina. Mio padre, come tutti gli uomini della sua fascia d'età, scese sulla banchina e si mise in gruppo con decine di altri uomini, ce n'erano già quasi un centinaio. Passò qualche minuto, io ero rimasto sul vagone, poiché avevo 15 anni, ero rimasto insieme a mia madre e le mie sorelle. Dopo qualche altro minuto si sentirono ancora le porte sbattere, di vagone in vagone. Le SS richiusero le porte incatenandole. Nel momento in cui arrivarono davanti al mio vagone, gli occhi di un SS si diressero su di me e questo iniziò ad apostrofarmi in tedesco, in realtà non sapevo se stesse guardando me, ma dopo che mio padre mi ebbe fatto un cenno da lontano, i suoi occhi si posarono su di me, cominciò ad insultarmi in tedesco con nomi che non comprendevo, intendendo dirmi che stavo facendo il furbo, che non ero sceso, che non avevo obbedito al suo ordine. [...] Allora scesi... non ricordo se riuscii a salutare mia madre, le mie sorelle, credo che in quei momenti non si dica nulla, quindi scesi con le poche cose che mi restavano ancora nelle mani, e raggiunsi mio padre sulla banchina. In quel momento, quanti eravamo sulla banchina, forse un centinaio scarso, guardammo il treno che ripartiva con un nuovo baccano di ferraglie e poi, io mi ricordo di aver guardato a quella piccola apertura dietro la quale si trovava mia madre. Lei non riuscì ad alzarsi abbastanza, non era abbastanza alta per farlo, vidi altri visi, e veramente, provai un sentimento di paura, inquietudine, ignoranza. Iniziavo ad essere immerso in un mondo che non era il mio e che non aveva nulla di logico ai miei occhi, che non assomigliava in nulla a ciò che era stata la mia vita durante i quindici anni precedenti...»

Herman Idelovici, Trascrizione integrale della sua testimonianza, Autunno 42, CRDP di Nizza

I 175 uomini selezionati a Kosel furono in seguito condotti al piccolo campo di smistamento di Ottmuth, poi una parte di essi fu utilizzata nel campo-fabbrica di Blechhammer. Questi campi dipendevano tutti da Auschwitz.

Carta del sud della Polonia nella quale sono indicati la stazione di Kosel e i due campi secondari di Ottmuth e di Blechhammer

In realtà, è abbastanza probabile che Aron non sia sceso dal treno a Kosel: aveva 56 anni e superava quindi l'età degli uomini richiesti dalle SS. Egli conosceva perfettamente il tedesco e dunque è probabile che non abbia risposto all'ordine di scendere dal treno. Cosa che gli permetteva inoltre di rimanere con sua figlia.

Se così fu, egli arrivò ad Auschwitz e venne selezionato al campo di Birkenau:

Ricostruisco l'itinerario seguito, secondo le testimonianze di più deportati: Maurice Cling, Marc Klein...
Uscendo dai vagoni, gli uomini e le donne vennero separati e andarono a formare due file parallele: gli uomini sulla sinistra e le donne sulla destra (B). Forse Aron poté scambiare un ultimo sguardo con sua figlia. Non è certo. Le SS spingevano i deportati ("Los ! Los !") che uscivano da due giorni di viaggio in treno senza che le porte fossero aperte una sola volta.
Passarono davanti agli ufficiali nazisti: quelli validi a sinistra, gli altri e i bambini, a destra...
Gli uomini validi selezionati furono pochi, a causa della fermata a Kosel. Non ve ne furono che una quarantina.
La piccola colonna così costituita si mise in marcia lungo la banchina e si dirisse verso l'entrata del campo (A), passò sotto il portico (A), uscì dal campo e si incamminò verso il campo di Auschwitz I, lo Stammlager, che si trovava a 3 km verso Sud-Est.
Costeggiò la doppia fila di reticolati elettrici che circondava il campo, poi entrò.
I deportati erano allineati da un ufficiale che, aiutato da un interprete preso fra i detenuti, li apostrofava: "Qua non siete in un sanatorio, coloro che sono ammalati escano dalla fila".
Solo allora coloro che rimanevano vennero tatuati. Poi li ispezionarono e li fecero spogliare vicino ad un camion nel quale dovevano essere deposti gli abiti, "ben piegati", precisava l'ordine. I deportati non trattenevano che cintura e scarpe. Seguì la rasatura. Poi la doccia e la distribuzione delle uniformi rigate, con un cappello dello stesso tessuto. Le scarpe migliori erano state sostituite nel frattempo da calzature dalle suole di legno.

«A Birkenau eravamo stati alleggeriti di tutti i nostri bagagli, poi, al nostro arrivo allo Stammlager, fummo privati di tutti gli oggetti che avevamo con noi, comprese le carte d'identità, gli orologi, i portafogli, le penne, gli occhiali, gli anelli, ogni minimo oggetto che potevamo avere fu gettato, a seconda del genere, in mucchi diversi. Poi fummo privati dei nostri vestiti, rasati su tutto il corpo, passati sotto la doccia e conciati con il famoso abito a righe bianche e blu...»
Marc Klein, Témoignages strasbourgeois. De l'Université aux camps de concentration, Les Belles Lettres, 1947
«Allo choc creato dall'atmosfera del campo e dalla brutalità delle SS e dei kapò si aggiunge la spersonalizzazione che accompagna solitamente ogni situazione di imprigionamento e che, ad Auschwitz era spinta fino ai limiti estremi: denudamento, doccia ghiacciata, rasatura completa del corpo, concessione degli abiti dei morti, tatuaggio del numero dell'internato ecc.»
Michael Pollak, L'Expérience concentrationnaire, Métailié, 1990

Sin dalla prima notte, i deportati vennero svegliati di soprassalto dalle urla in tedesco del kapò e dei suoi "stubedienst" (letteralmente: servizio di camerata, in pratica, aggiunti del kapò) che utilizzavano dei manganelli in caucciù: "Los ! Los ! Schnell !" Gli uomini, frastornati, uscirono a fatica dalle loro cuccette esigue, urtandosi nei corridoi stretti della baracca e, sconvolti dalle grida e dai colpi, vennero trascinati verso la scala che portava ad una stanza dove vi erano le docce, situata al pianterreno. Nessuno poteva sfuggire alle manganellate sulla schiena distibuite dal kapò e dai suoi ausiliari.
La mattina i deportati scesero nel cortile che separava le baracche. Su ogni baracca era scritto, sopra la porta: "Quarantäne. Eintritt verboten". Al centro del cortile si trovava un grande buco quadrato circondato da un sedile in legno: gli "Abort" (WC). Poi lunghe ore d'attesa. Con la fame che incominciava a manifestarsi. Il cortile serviva anche all'addestramento dei detenuti: come salutare le SS, al grido di "Achtung !", togliendosi il cappello. Se un ufficiale vi parla, dovete rispondere in tedesco, specificando il suo grado. Era un problema per molti Francesi. Non per Aron, che padroneggiava il tedesco. Ma che differenza dal tedesco dei suoi studi filosofici a Berlino... Era vietato guardare un SS negli occhi: lo sguardo doveva essere abbassato verso terra, spostato un metro a destra: "Augen rechts !" ("Gli occhi a destra!"). Bisognava saper pronunciare il proprio numero di matricola in tedesco e in polacco.
Sin da quella prima giornata, incominciarono i furti fra detenuti. I più anziani derubavano quelli appena arrivati. Alcuni si fecero rubare le scarpe, altri il loro "Mutzen" (cappello). Ci sono buoni motivi per credere che Aron non fosse forte a quel gioco, sebbene si trattasse di un gioco vitale.

«Qua, l'"haftling" [detenuto] è un oggetto da manipolare. deve obbedire agli ordini, come una macchina. Non deve esprimere che l'umiltà, la coscienza del suo non essere degno, del suo essere nulla di fronte all'autorità. Egli non ha alcun diritto, non pensa, è inesistente. Le disposizioni relative alla quarantena hanno lo scopo di inculcargli questa convinzione, di spezzare la sua personalità poiché egli è divenuto intercambiabile, di condizionarlo ai nuovi riflessi dei segni di rispetto, all'accettazione cieca degli ordini più arbitrari.
A quel punto, egli è pronto ad entrare nel campo, ossia ad essere messo al lavoro».
Maurice Cling, Vous qui entrez ici... Un enfant à Auschwitz, Graphein-FNDIRP, 1999

Questa spersonalizzazione, Aron probabilmente la rifiutò con tutto se stesso. L'autore del testo sopra era un giovane di quindici anni che si è "adattato" ed è sopravissuto. Aron non poteva farlo. Egli dunque subì questa accoglienza al campo: spogliato, rasato, lavato, tatuato, rivestito dell'uniforme rigata; ebbe il tempo necessario per conoscere la brutalità dei blocks: kapò, botte, addestramento... il tempo di capire anche cosa era avvenuto a sua figlia, e il tempo di morirne.

A partire dall'estate 1942, il tifo si era diffuso nel campo. Aron, indebolito, si ammalò e fu probabilmente mandato al Revier (l'infermeria del campo). Il medico delle SS Johann-Paul Kremer constatò il suo decesso l'11 ottobre, alle 10.05 del mattino. Alla fine del dicembre 1999, ho ricevuto dagli Archivi di Auschwitz una copia dell'atto ufficiale del decesso:

Estratto dell'atto di morte, in tedesco Dalla dichiarazione orale scritta del dottor Kremer, Dottore in medicina ad Auschwitz, l'11 ottobre 1942.

Qua bisogna spendere una parola sul dottor Johann-Paul Kremer. Era arrivato al campo di Auschwitz il 30 agosto 1942 e vi rimase quasi tre mesi. Al momento del suo arrivo il tifo mieteva vittime in gran quantità ad Auschwitz. Si può pensare che quella fu la vera causa del decesso di Aron.
Il medico SS teneva il suo diario dal 1940. Vi faceva annotazioni sulle sue attività, descriveva spesso i suoi pasti. Così, l'11 ottobre, dopo aver constatato il decesso di Aron, mangiò e scrisse:

«11 Ottobre 1942: Oggi, sabato, a pranzo c'era lepre arrosto (una coscia veramente grossa) con polpette e cavolo rosso per 1.25 Reichsmark ».

Ma soprattutto, Johann-Paul Kremer era un SS che ha testimoniato nel suo diario le selezioni e gli stermini nelle camere a gas. E' un testimone diretto, autentico. Ecco il passaggio principale (in tedesco e con la traduzione italiana) nel quale Kremer rievoca le «azioni speciali», secondo il gergo in codice del campo:

« 2. Schutzimpfung gegen Typhus; danach abends starke allegemeinreaktion (Fieber). Trotzdem in der Nacht noch bei einer Sonderaktion aus Holland (I 600 Personen) zugegen. Schauerliche Szene vor dem letzten Bunker Hössler ! Das war die 10. Sonderaktion » « 2a vaccinazione preventiva contro il tifo; dopo questa, in serata, forte reazione generale (febbre). Malgrado ciò nella notte ho assistito ancora una volta ad un'azione speciale su gente proveniente dall'Olanda (1600 persone). Scene terrificanti davanti all'ultimo bunker (Hössler)! Era la decima azione speciale».

La causa del decesso di Aron è riportata in questo atto.

Estratto dell'atto di morte in tedesco Causa della morte: Setticemia da flemmone
Credo che si debba vedere lì una delle affezioni causate dal tifo.

Ecco il testo completo di questo atto di morte:

Nr 35733/1942
Auschwitz, den 21. Oktober 1942
Der Kaufmann Aron Natanson
mosaisch
wohnhaft Paris V, Rue des Feuillantines 9
ist am 11. Oktober 1942 um 10 Uhr 05 Minuten
in Auschwitz, Kazernstrasse verstorben.
Der Verstorbene war geboren am 1. Februar 1886
in Ploiesti, Rumanien
(Standesamt--------------Nr------------------)
Vater: Osias Natanson, wonhhaft in Ploiesti
Mutter: Anna Natanson geborene Rapaport, zuletzt wohnhaft in Ploiesti
Der Verstorbene war nicht Verheiratet mit Fanny Natanson geborene Neidmann
Eingetragen auf mündliche schriftliche Anzeige des Arztes Doktor der Medizin Kremer in Auschwitz vom 11. Oktober 1942
D Anzeigende
Die Übereinstimmung mit dem
Erstbuch wird beblaubigt.
Auschwitz, den 21. 10. 1942

Der Standesbeamte
In Vertretung
[illisible]

Der Standesbeamte
In Vertratung
Quakernack
Todesursache: Sepsis bei Phlegmone
N°35733/1942
Auschwitz, 21 ottobre 1942
Il commerciante Aron Natanson
israelita
Domiciliato: Paris V, rue des Feuillantines 9
E' deceduto l'11 ottobre 1942 alle 10.05
Ad Auschwitz, Kazernstrasse (via della caserma).
Il defunto era nato il 1° febbraio 1886
a Ploiesti (Romania)
Stato civile N°
Padre: Osias Natanson, residente a Ploiesti
Madre: Anna Natanson nata Rapaport, ultimo domicilio Ploiesti.
Il defunto era non era coniugato con Fanny Natanson, nata Neidmann.
Registrato sulla base della dichiarazione orale scritta del dottor Kremer, Dottore in medicina, ad Auschwitz, l'11 ottobre 1942.
La conformità con il primo registro è certificata.
Auschwitz, lì 21.10.1942

L’impiegato dell'anagrafe
Il suo sostituto
(illeggibile)

L’impiegato dell'anagrafe
Il suo sostituto
Quakernack

Causa della morte: Setticemia da flemmone

Aron Natanson morì, l'11 ottobre 1942, verso le 10 del mattino, nel campo di Auschwitz I.

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